NEWS // 16.09.2019

TRATTO DA ART. CORRIERE DELLA SERA

Secondo i dati Istat, al primo gennaio 2019, la fascia di età compresa tra i 15 e 34 anni contava 12,5 milioni di persone, il 20,7% del totale della popolazione italiana. Nel 2009 erano 13,6 milioni, il 22,9%. In un decennio abbiamo perso più di un milione di giovani! Sempre secondo l'istituto, i giovani pesano meno sull'insieme degli occupati.
Tra i giovani la quota dei dipendenti a tempo indeterminato è scesa dal 61,4% del 2008 al 52,7% del 2018, mentre per i lavoratori con più di 35 anni è cresciuta di più di un punto percentuale. La percentuale dei laureati sulla popolazione con più di 15 anni è aumentata dal 10,7% al 14,7% dal 2008 al 2018.
La quota di laureati tra gli occupati di età compresa tra i 20 e i 34 anni è cresciuta nel decennio dal 16,3% al 22%. Nello stesso periodo, a livello generale, abbiamo avuto un milione e 431 mila laureati in più.
E' incrementato il fenomeno della sovraistruzione in larga parte giovanile in un paese complessivamente sottoistruito. Uno dei tanti paradossi. Sempre secondo il rapporto annuale Istat, le persone, nel complesso, che svolgono delle mansioni per le quali è richiesto un livello di istruzione inferiore sono 1,8 milioni tra i 20 e i 64 anni. In aumento nel quinquennio 2013-2018 anche per l'ingresso nel mondo del lavoro di persone più preparate dal 32,2% al 34,1%. Ovvero un laureato su tre è sottoccupato.

A cura di Istat è stato pubblicato il rapporto "Il mercato del lavoro 2018, verso una lettura integrata". Uno studio che consente di misurare le modalità d'ingresso nel mondo del lavoro dei giovani fino ai 29 anni. Nel triennio 2015-2017 i primi ingressi sono cresciuti del 34,4%. Nel solo 2017 la metà circa con contratto a tempo determinato, per il 14% attraverso l'apprendistato, per l'11% "intermittenti".
Più la qualifica è alta maggiori sono le probabilità che il lavoro continui: il 38,8% dopo sei mesi, al 49,5 dopo ventiquattro mesi. Nel complesso possiamo dire che l'occupazione giovanile, in particolare indipendente, ha dato segnali di risveglio. Con qualche significativa crescita nell'industria, nei servizi alle imprese. Molti sono gli impieghi professionali che rimangono scoperti per mancanza di offerta.
Il commento di Roberto Monducci, direttore del Dipartimento di produzione statistica dell'Istat, la crisi economica ha colpito più violentemente i giovani, aumentando i divari intergenerazionali sia per la difficoltà di accedere al primo lavoro sia perché impiegati a breve termine. Considerando la classe tra i 25 e i 34 anni, il tasso di occupazione è tornato a crescere dal 2015 con un anno di ritardo rispetto al totale tra i 15 e i 64 anni. Ma il tasso di occupazione, sempre nella fascia di età trai 25 e i 34 anni, pari in media al 61,6% presenta una notevole variabilità. Si va dall'83,7% dei maschi al Nord al 33% delle donne al Sud. Dal punto di vista dinamico, un aspetto di un certo interesse è il fatto che, nell'ultimo anno, i giovani abbiano registrato una maggiore persistenza nella condizione di occupati rispetto a quanto avvenuto l'anno precedente. In particolare, appare maggiore la persistenza nella condizione di occupato dipendente a tempo indeterminato, con un contestuale incremento dei passaggi tra lavoro a termine e lavoro permanente.
In una intervista a Repubblica, il presidente dell'Assolombarda, Carlo Bonomi, ha proposto un coraggioso piano per aumentare il salario d'ingresso dei giovani, detassando per esempio il tutoring, il trasferimento di competenze tra lavoratori anziani e nuovi arrivati.
Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt, si è chiesto, sul Sole 24 Ore, se non sia l'ora di varare politiche attive più incisive, ovvero di serio accompagnamento e formazione. Il sentimento prevalente dei giovani oscilla tra la frustrazione di ricerche affannose e l'amara scoperta di non avere profili adeguati alle necessità del mercato. Ma il tempo per recuperare c'è. L'importante è che nessuno si perda d'animo, si deprima.
La sfida è soprattutto questa. Un impegno morale più che un programma economico. Un passo significativo si potrebbe già fare spezzando il cattivo uso dei tirocini (370 mila nel 2017) soprattutto quelli extracurricolari (500 euro al mese, niente effetti pensionistici) e favorendo l'apprendistato. Sono spesso, i tirocini, il modo attraverso il quale le aziende risparmiano sul costo del lavoro. I contratti di apprendistato, sempre nel 2017, erano in Italia 428 mila. In Germania 1,4 milioni.